Esiste un’entità che spaventa gli scrittori emergenti più di un Balrog, più di un esame di matematica, più della stesura di una sinossi di una saga di dieci libri. Stiamo parlando dell’editor, quella figura che, invece di terrorizzare, dovrebbe rappresentare l’alleato più utile per ogni scrittore. L’editing, infatti, è una fase assolutamente necessaria e fondamentale nel ciclo di produzione di un libro, grazie alla quale è possibile rendere un testo più incisivo, fresco e potente: semplicemente, più bello. Senza gli editor, molti dei libri più letti non sarebbero così apprezzati. Eppure, intorno a questa attività c’è ancora tanta confusione. Spesso gli scrittori non la conosco bene, la sottovalutano o ne hanno paura, terrorizzati dall’idea che l’editor sia lì soltanto per stravolgere la loro storia e riscriverla come più gli piace.
Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo pensato di chiamare la persona più adatta a questo arduo compito: Gloria Macaluso, la bravissima e gentilissima editor che si sta prendendo cura dei primi due romanzi del nostro catalogo (che potrete leggere finalmente a dicembre). Per l’occasione abbiamo unito le domande che alcuni di voi ci hanno proposto a una serie di quesiti tecnici che speriamo vi aiutino finalmente a comprendere il valore di questa professione editoriale.
Intervista a Gloria Macaluso, la nostra editor
1. Ciao Gloria. Grazie di cuore per averci dato l’occasione di fare quattro chiacchiere con te. Partiamo dalle domande semplici semplici, che ne dici? Un po’ di interrogativi per fare chiarezza su questa professione editoriale intorno alla quale c’è ancora molta confusione. Ci aiuti a capire chi è e cosa fa un editor?
Domanda semplice-semplice, dici? Be’, ancora lo devo spiegare a molti conoscenti quando mi chiedono e tu di cosa ti occupi?
Io sono un’allenatrice. Non vedo modo migliore di dirlo: l’editor è, per chi scrive, colei o colui che si prende cura delle storie nel modo più autorevole, ed empatico, possibile. L’editor allena l’autore a scrivere e allena il testo a migliorarsi. Non si correggono solo virgole e accenti: l’editor rappresenta la possibile e probabile platea di lettori ai quali il romanzo verrà dato in pasto ed è (dovrebbe essere!) il punto fermo di ogni scrittrice o scrittore.
Per dirla in maniera più tecnica: l’editor di narrativa è la figura professionale – interna alle redazioni delle Case Editrici o esterna – che lavora a stretto contatto con l’autore del romanzo e con il romanzo stesso.
Ma questa definizione mi lascia spesso insoddisfatta: noi collaboriamo in sincronia con l’autore – è complicità, alleanza – e il nostro obiettivo è, soprattutto, rendere il romanzo al suo meglio possibile. Questo non significa rendere un romanzo perfetto, ma sfruttare ogni potenzialità, anche sotterranea, della storia – ovviamente, anche di chi l’ha scritta. Ci prendiamo cura di entrambi, insomma, e, nella pratica, lavoriamo sia in superficie (fraseggio, stile, target, coerenza, credibilità), sia nel sottosuolo (trame, caratterizzazioni, conflitti dei personaggi, morali, premesse e promesse autoriali).
Il pacchetto completo.
2. Un editor, come sappiamo, può intervenire sulla totalità degli aspetti di un libro. Dalla forma all’intreccio narrativo. Come e quanto può intervenire a livello contenutistico?
C’è da fare una premessa che non è mai scontata: l’editor non scrive, né riscrive, al posto dell’autore. È fondamentale specificarlo sia per chi si approccia a questo mestiere sia per gli autori che – più di quanto vorrei – chiedono interventi drastici o, peggio, miracolosi.
Per quanto riguarda il contenuto, bisognerebbe anche chiarire che cosa si intende con questa parola. Contenuto non è solo trama. Del contenuto fa parte il libro tutto, la totalità della voce autoriale, lo stile, i personaggi, l’intreccio, l’atmosfera. Elementi di cui spesso chi scrive è, diciamo così, particolarmente geloso.
A mio parere, l’intervento dell’editor non è mai un ingresso a gamba tesa, ma una suggestione. Io do spesso suggerimenti pratici (scrivo, dunque, o riscrivo frasi e paragrafi all’interno dei commenti sul testo), sia per quanto riguarda il dettaglio – come può essere una scena, una descrizione o un dialogo – sia per quanto riguarda elementi più complessi – intreccio, conflitti, ambientazioni. I miei suggerimenti sono però suggestioni: servono all’autrice o all’autore per, semplicemente, pensare.
Ripropongo quindi l’esempio dell’allenatrice: i miei sono incoraggiamenti a fare meglio, stimoli, esortazioni, perché non sarò io a gareggiare, non sarà il mio nome quello in copertina. E, soprattutto, non sono mie le storie. Infatti, le mie suggestioni si rivelano, nella maggior parte dei casi, un gradino al di sotto di ciò che l’autore riesce a creare con qualche spinta. Servono, in conclusione, per far immaginare e quindi scrivere all’autore qualcosa di migliore.
Il nostro obiettivo non è riscrivere per loro un’ottima storia ma fornire ottimi consigli.
E qui si potrebbe tranquillamente sollevare un’obiezione: Gordon Lish. Ecco, perché Lish ha “manipolato” così prepotentemente i testi di Carver? Nel 2020 gli scritti originali (in Principianti, Einaudi) sono stati pubblicati e la differenza è stata lampante. Be’, la questione è spinosa ma risolvibile: all’epoca, la strategia commerciale del romanzo americano cercava proprio questo e l’editor ha consapevolmente disatteso una delle regole fondanti del mestiere, e principale valore: l’invisibilità. Ma non è stato un errore: Lish adottò una strategia editoriale che ancora oggi tenta di soverchiare il mercato, quella del caso editoriale. All’epoca, Carver doveva diventare il “poeta del minimalismo”.
A prescindere dalle strategie, l’invisibilità rimane il principio fondamentale: noi dobbiamo accompagnare le storie e per farlo non dobbiamo mai invaderle, né loro né chi le ha scritte.
3. Molti hanno paura che l’editor stravolga storia e stile di scrittura dell’autore. Spesso, infatti, gli scrittori emergenti sono proprio terrorizzati da questa eventualità, e per questo si tengono alla larga degli editor. Ma esiste davvero questa possibilità?
Non dovrebbe esistere.
Purtroppo, ci sono “professionisti”, e le virgolette sono volute, che tendono a stravolgere le storie poiché credono di avere la verità in pugno oppure perché pensano di sapere cosa è meglio per quella storia o, peggio ancora, perché sono stati abituati a uniformare i contenuti – magari da fantomatiche scuole di scrittura o da manuali poco chiari o da errate interpretazioni di consigli degli esperti. Questo è uno degli errori più comuni: non saper riconoscere le diverse inclinazioni dello stile, delle storie e della voce.
Mi spiego: solo perché un romanzo non mi piace non significa che sia da buttare. Uno degli aspetti più complessi dell’essere editor sta proprio qui: saper scindere il nostro gusto personale dall’oggettiva bontà di un romanzo. Per questo bisognerebbe avere una grande cultura narrativa, sempre in aggiornamento – leggere, leggere, leggere, anche al di fuori del lavoro; anzi: soprattutto al di fuori del lavoro!
Che chi scrive abbia paura che la sua storia possa essere snaturata è normale: è come dare in braccio il proprio bambino a un estraneo. E se cadesse? E se gli facesse del male? E se non capisse quanto lo amo e quanto è bello? I ragionamenti sono gli stessi.
Ma, lo posso assicurare, un vero professionista non snaturerà la vostra storia, vi aiuterà invece a renderla ancora più vostra.
4. Com’è il rapporto con i tuoi clienti? Ci sono stati momenti difficili con alcuni scrittori?
Non c’è un unico rapporto. Gli autori con cui collaboro fanno parte di una vasta cerchia di personalità, età, gusti. Lavoro con giovanissime scrittrici (la più giovane ha 19 anni e una penna già attenta e sensibile), e con scrittori più – mi perdoneranno – avanti con l’età, magari già pubblicati da editori di saggistica e manualistica e che per la prima volta si approcciano alla narrativa. Ho clienti sparsi per il mondo – Cina, Germania, Finlandia, Svizzera, Australia – tutti expat con esperienze così diverse dalle mie che leggere i loro scritti mi fa scoprire mondi altrimenti sconosciuti.
I momenti difficili ci sono, in percentuale, con tutti quanti. Non per quanto riguarda la collaborazione – per fortuna, una gioia della vita da freelancer è anche la possibilità di scelta, e io scelgo anche le persone – ma per quanto concerne i testi. Momenti di lunghissimi stop dalla scrittura, di buio creativo, di problemi personali. Insomma, anche la vita si mette di mezzo.
Alcune volte, però, ho fatto la scelta sbagliata – anche questo capita. Rincorrere i pagamenti o subire l’invadenza non è la parte migliore del mio lavoro, ma è una parte che non possiamo mai essere sicuri di aver scongiurato. Un aneddoto che racconto sempre è quello della chiamata di domenica mattina: un autore in particolare adorava chiamarmi alle 10 del mattino, spesso di domenica – senza appuntamento, chiaramente. Alla terza volta ho dovuto essere esplicita. Ha scritto altri romanzi, da quanto ne so, ma non sono più stata la sua editor; d’altronde, non si vive per accontentare gli altri, Alice.
5. Come lavora un editor? Come si rapporta con autore e casa editrice?
Ogni professionista ha (dovrebbe avere) un proprio metodo. In via generale, l’editor freelance lavora su commissione; dunque, una volta ricevuta una proposta di collaborazione può decidere se portarla avanti oppure no. Non tutte le prove gratuite (precedenti ai preventivi e ai contratti, entrambi fondamentali) portano a una collaborazione, e questo per vari motivi. Il primo riguarda il testo: non tutti i testi, infatti, sono maturi abbastanza da affrontare un editing.
Per quanto riguarda i lavori con gli editori o con i service o con le agenzie letterarie, anche in questi casi non sempre la collaborazione – che può essere inerente a uno o più testi, tutti stabiliti da contratti differenti – va a buon fine. E qui, di solito, il problema è il prezzo: l’editoria, ancora e in Italia, paga poco (e spesso anche male).
Poi ci sono le collaborazioni con le aziende. Magari di formazione o di editing su articoli, testi aziendali eccetera. Lì si sale di livello e spesso ci si propone. Queste ultime sono le più esigenti e quelle con i contratti più complessi. A proposito di contratti, già che ci siamo: dovrebbero sempre essere sottoposti ai clienti, è una questione di correttezza, sicurezza e, non di meno, una questione di legge.
6. Abbiamo capito quanto è importante la figura dell’editor e quanto un intervento curato possa aiutare l’autore a rendere il libro ancora più piacevole, emozionante e potente. Ma come si fa a scegliere un editor bravo? Come capire se un editor migliorerà il libro o lo peggiorerà?
Questa è una domanda davvero complicata. Lo è perché dipende da criteri diversi per ognuno di noi. Cercherò di essere esaustiva partendo da una premessa: la prima cosa da notare in un professionista, prima ancora delle competenze tecniche, è l’empatia. Detta così potrei tirarmi addosso non poche critiche, ma voglio spiegarmi: l’editor affiancherà il romanzo e l’autore probabilmente per mesi. Vogliamo davvero avere al fianco una persona che, banalmente, ci sta antipatica? Quando c’è la possibilità di scegliere (come sempre nel caso di autori “privati”), allora è meglio che lo scrittore o la scrittrice partano dall’empatia.
Detto questo, ci sono due cose fondamentali da notare e chiedere.
La prima riguarda la regolarità fiscale. Ripetiamolo: l’editor è un professionista che paga le tasse (e tante); ogni lavoro deve essere fatturato e dichiarato. L’essere in regola con il fisco non è solo questione di legge; in questo caso, riguarda anche la serietà dell’editor. Oltre a questo, i documenti che regolano la collaborazione, a partire dai contratti.
Un buon editor, poi, a mio parere, dovrebbe sempre offrire una prova gratuita. Quest’ultima non solo serve all’autore per capire se le revisioni sono in linea con il suo gusto, stile e corrispondono all’aiuto che sta cercando per il testo, ma serve anche all’editor per stabilire il prezzo della collaborazione. La prova gratuita si svolge solitamente su alcune cartelle di testo (da 5 a 20) e non sul testo intero, altrimenti è un lavoro, e va pagato.
Queste sono le uniche due cose che l’autore può verificare da subito, prima di iniziare una collaborazione. Per questo, il consiglio è sempre quello di fare più prove gratuite – in fondo, è un mercato libero!
7. Quando interviene sul testo, l’editor si deve adattare allo stile dello scrittore? Quanto è complesso “simulare” uno stile diverso dal proprio?
È la parte più difficile. Noi dobbiamo modellarci sullo stile. Per questo le letture e le riletture sono così importanti.
Più che simulare, il compito dell’editor è comprendere lo stile e tentare di restarci il più attaccato possibile. La difficoltà non sta nel riuscire a emulare il ritmo, la sintassi o la voce (è impossibile e non è un buon esercizio), ma nell’individuarne le regole, il pensiero dietro quelle scelte, così da dare il suggerimento migliore.
8. Quanto è netto il confine fra ciò che un editor può e non può fare su un testo?
In realtà, non lo è per nulla, poiché ogni testo è diverso, ogni autore lo è. Tutto dipende da quanta complicità si crea. Con alcune delle mie autrici i commenti sui romanzi, da ambo le parti, sono deliranti: un miscuglio di sabato d’aperitivo e lezione accademica il lunedì mattina. Quando si creano questi rapporti è davvero stimolante perché l’atmosfera rilassata e di confidenza fa esplodere brainstorming indimenticabili. Ancora di più quando ci si incontra di persona.
9. Come si diventa editor? Hai voglia di raccontarci il tuo percorso e di dare qualche consiglio a chi ci legge per intraprendere la stessa professione?
Non c’è un’unica strada per intraprendere questo mestiere. Conosco ottimi e ottime editor laureti in Economia o in Scienze Politiche, tanto per chiarirci. Io ho iniziato, come tutti, dalla passione per la lettura. C’è stato però un momento più preciso degli altri: all’epoca frequentavo Giurisprudenza e, durante un gruppo di studio, due colleghi discutevano animatamente su un librettino di narrativa uscito da poco. A uno era piaciuto parecchio, all’altro, senza mezzi termini, aveva fatto schifo. Mi incuriosii a tal punto di quella conversazione origliata che, finite le lezioni, andai a comprare questo benedetto romanzo. E, sì: faceva schifo davvero. Prima di allora non avevo mai letto con quegli occhi, gli occhi critici, e mi chiesi, da lì in poi, sempre più spesso: ma perché è brutto? Allora iniziai una ricerca quasi morbosa di romanzi sconsigliati: cercavo i titoli più derisi, discriminati e affondati dalla critica e dai conoscenti. Li leggevo e individuavo che cosa li rendeva tali. Che cosa li rendeva brutti (vorrei sdoganare anche questa parola: “brutto”, che pare sempre troppo poco per descrivere qualcosa di sgradevole e invece a me pare calzante). Dopodiché fui affiancata da un “professionista del settore in pensione” che non vuol mai essere nominato ma di cui parlo velatamente ogni volta che mi si fa questa domanda, che mi affiancò, questa volta, a partire dallo studio dei classici – perché sì, di mestiere noi studiamo i libri, prima di prendercene cura. Poi il percorso fu un’altalena di discese e cadute: abbandonai Giurisprudenza, ripresi in mano gli studi di Scienze Umane, frequentai corsi, inizia ad avere i primi clienti, aprii la partita iva e così via.
Ovviamente, al di là dei singoli e unici percorsi, per diventare editor ci sono almeno tre cose fondamentali da tenere a mente: la prima è la lettura. Bisogna essere lettori bulimici, onnivori – come scrive Alessandra Selmi in un esilarante pamphlet per Editrice Bibliografica. La seconda riguarda lo studio: potete formarvi a livello universitario, chiaramente, ma non basta: i corsi professionali e il più possibile pratici, lo studio dei manuali e dei saggi di riferimento, l’informazione continua tramite riviste, newsletter e compagnia bella. La terza riguarda invece una scelta: essere editor freelance o cercare un posto dipendente in redazione? Qui il discorso si apre: sono due tipologie di lavoro molto differenti.
10. Per essere editor bisogna essere anche scrittori? Si può svolgere la professione senza aver mai scritto un libro?
Si può, non ne sono l’unica prova. Per essere editor non bisogna saper scrivere bene come i nostri autori, ma bisogna – sempre, in ogni caso o circostanza – conoscere le regole della scrittura. La prima formazione, infatti, dovrebbe partire dalle basi della scrittura narrativa fino alla critica letteraria e più.
11. All’interno dei numerosissimi gruppi Facebook destinati alla scrittura e presidiati per lo più da autori emergenti si sente spesso dire che la figura dell’editor è inutile e che si può revisionare il manoscritto in completa autonomia. Funziona davvero così? Si può fare editing da soli?
No. Nello stesso modo in cui non si può pensare di andare in causa in tribunale senza avvocato. Ora, al di là della forse eccessiva metafora, il problema non è l’impossibilità di revisionare da soli il testo – anzi è più che possibile lavorare in autonomia sul proprio romanzo per colmare le lacune e i buchi di cui ci si rende conto – ma l’impossibilità di essere oggettivi. Non ci si può giudicare in autonomia, e l’editor deve proprio rappresentare la platea dei probabili e potenziali lettori.
I romanzi sono opere destinate al pubblico, per questo è fondamentale una freschezza, un’oggettività esterna che possa giudicarli obbiettivamente e guidarli nella giusta direzione. Inoltre, l’autore è spesso assuefatto dal proprio lavoro e non riesce più a distinguere l’errore, a trovare il refuso, a capire quello che manca o quello che è in più. E, ancora, nella testa dell’autore ogni evento della trama potrebbe essere cristallino, ma questo non significa che fuori dalla sua testa, sulla carta, lo stesso evento o collegamento sia altrettanto chiaro. Per questo l’editing non può essere svolto in autonomia.
12. Tutti i libri hanno bisogno di editing? Anche quelli degli scrittori più bravi e affermati?
Tutti i libri hanno bisogno di un confronto, anche quelli degli scrittori più bravi e affermati; l’editing è una tipologia di confronto, sicuramente la più completa, ma non l’unica.
Anche gli scrittori più importanti hanno il bisogno di sentirsi dire cosa c’è che non va nelle loro storie o, più spesso, cosa potrebbe andare meglio. Di solito, il tipo di lavoro con autori affermati non è quello che nell’immaginario collettivo è chiamato editing. Non posso non citare, qui, la luminosa Grazia Cherchi, una delle figure più brillanti dell’editoria italiana del Novecento e lettrice dei grandi di quegli anni. Una figura ancora oggi in ombra, ma che meriterebbe di essere studiata, studiato il suo metodo. Cherchi lavorava a stretto contatto emotivo con gli scrittori – preferendo spesso gli esordienti – e il suo non era un editing con lo strumento revisione Word, ma un confronto diretto, franco, a volte brutale, sullo scrivere, sulla scrittura e sui romanzi. Si racconta di lei come di una donna passionale, appassionata, disposta addirittura a litigare con gli autori, tutto per il bene del romanzo. Grazia Cherchi trascorreva le ore nel suo studio, in compagnia degli scrittori e parlava dei testi. Chiacchierava con gli autori dei loro scritti, di ciò che andava bene, di ciò che andava male; di quello che bisognava togliere e di quello che bisognava aggiungere. Non solo, lei si spingeva anche più in là, era promotrice attiva di questi romanzi, perché se ne innamorava.
Ecco, questo è importante: tutti i libri hanno bisogno di qualcuno che si innamori di loro.
13. Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? E quella più bella?
Posso partire dal bello? Be’, il bello – al di là della soddisfazione al termine degli editing – è l’anima del lavoro: il confronto con gli autori. Penso che le mie videochiamate possano essere paragonate a una chiacchierata fra amici: io e l’autore o l’autrice del testo possiamo trascorrere anche ore a discutere su una singola scena, a pensare al modo migliore di rendere un personaggio, a litigare su dove inserire quel flashback, a dove svelare l’assassino, a confonderci fra i luoghi e i nomi. In sintesi, a innamorarci della storia. Esatto, lo ripeto: la parte migliore è innamorarmi dei testi.
Di parti più difficili di altre non ce ne sono. Fra quelle, però, certamente fastidiose troviamo: l’organizzazione e “l’incastro” dei vari lavori, i tempi stretti, la gestione contabile, i ritardi. Insomma, tutte magagne da freelancer.
14. Ora una domanda impossibile, quella da un milione di dollari. Secondo te di cosa ha bisogno oggi un libro per essere apprezzato e ottenere un buon riscontro?
Di una voce.
Le storie, in un modo o nell’altro, si ripetono uguali da millenni, con l’aggiunta delle varie scoperte tecnologiche e dei vari e differenti cambiamenti sociali. Ma la voce… quella è unica e la compone il testo nel suo insieme. Se mi chiedessi, anche, cos’è che mi piace leggere nei libri, risponderei allo stesso modo: una voce unica, originale, intima, vicina a me come lettrice e che mi accompagni nella trama; anzi, che mi ci trascini dentro, con forza, senza scampo.
15. Penultima domanda, vediamo di giocarcela bene. In tutta sincerità, cosa ne pensi del mercato librario italiano attuale? Che strada pensi stia prendendo e cosa credi gli manchi?
Penso che si potrebbe fare di molto meglio. L’editoria italiana dei “grandi” (in crisi da sempre) è spesso ancora fossilizzata in standard e atteggiamenti obsoleti, se non addirittura insopportabili. Si pubblicano libri-spazzatura con la speranza di fare cassa e pubblicare perle di nicchia, ma alla fine ci si ritrova con testi dei quali non importa nulla a nessuno e che hanno il solo scopo di elevare l’editore a un qualche altarino di rispettabile presunzione.
Ma non posso incriminare solo l’editoria per questo, si dovrebbe entrare in un discorso (e in una logica) di politiche a supporto della cultura che ci impiegherebbe l’intervista intera, se non di più.
In questo mare di confusione e bigottismo, comunque, brillano editori vecchi e nuovi, spesso sottovalutati, che cerco di supportare e che invito tutti a supportare. Per capire chi sono, innanzitutto, è bene leggere qualche loro titolo e scoprire come e perché sono nati; che lo scopo di qualsiasi attività non è solo il guadagno.
16. Ora tocca a una domanda che ci riguarda da vicino, una di quelle che gli Illuminati non vedevano l’ora ti facessimo. Ti va di parlarci dei due libri che stai editando per noi? Senza spoilerare nulla, ovviamente 😀
E cosa potrei mai dire senza spoilerare? Devo ritrattare la quartultima domanda: una delle cose più complesse del lavoro dell’editor è parlare dei libri che abbiamo editato!
Il primo libro, Le notti di cliffmout: luci verdi dall’inferno, è un fantasy dalle grottesche tinte horror, con la principale componente dell’indagine thriller: un’investigazione dentro un mondo di credenze, superstizioni e misteri. Amore a prima vista, per me, particolarmente affascinata dal folklore e dagli intrighi – soprattutto quando di mezzo ci sono diavoli, streghe e mostri.
Il secondo (ma quest’ordine è solo quello in cui li ho letti io), Protocollo Uchronia, romanzo corale, può essere collocato nel filone della fantascienza distopica – ma anche utopica, e l’apparente contraddizione si può capire solo leggendolo. Un tripudio di personalità, avanguardistiche (e spaventose) tecnologie che pizzicano il lettore in qualcosa che raramente troviamo nei libri: una riflessione morale.
Sono entrambi romanzi, al di là di ogni incriminabile lusinga, con un’espressività e un ritmo incalzanti e, soprattutto, una storia. Ecco, aggiungo una cosa a ciò che credo sia fondamentale nei libri, oltre alla voce: una storia.
Sembra banale, ma spesso (nella cultura italiana, retaggio secolare di poeti e filosofi) quello che manca in un romanzo è una vera storia, con eventi coinvolgenti e avvincenti. I libri che avete scelto posseggono entrambe le cose.
Un commento-
Che dire? Se non che: affidabilità, competenze, simpatia traspaiono dalle note appassionate di questa professionista incapace di mentire.